L’estremo sé dell’essere

L’estremo credo sia una dimensione interna, personale, di duplice natura: la prima, la costruzione del progetto, che ha come motore l’illusione egocentrica di trovare qualcosa di utile per sé e per dimostrare qualcosa agli altri; la seconda, che si svela ad alcuni solo con l’esperienza effettiva, quando cioè ci si trova nel mezzo, quel momento che ti mostra il vero motivo della partenza: l’inquietudine di fondo rivela il bisogno estremo di verità della propria esistenza, non più di natura sociale come la prima, ma di tipo ancestrale, animale (da anima).
La vera utilità della scoperta è la scoperta dell’inutilità delle cose: ogni passo ti dice chi sei nel tuo rapporto ancestrale con l’universo; non conta il giudizio sociale ma il sentire te stesso in armonia con il creato (spesso, solo dopo che con esso ci hai parlato e ti sei pure incazzato). E forse è in quel momento che il giudizio narciso e consapevole che si ha di se stessi, tenuto a bada ma motore nella prima fase, viene perdonato nella seconda, dove la natura ti insegna e ti porta ad accettare la pasta di cui sei fatto.
Si parte giudicandosi e non ammettendo il giudizio, si arriva mettendo fisiologicamente da parte il giudizio degli altri e il proprio, proprio perché le categorie del giudizio non sono in grado di spiegare ciò che accade nel profondo.
Viviamo un tempo dove i più sono trainati solo dalla prima fase: fanno l’estremo ma non diventano l’estremo che è in loro. La socialità prevale sull’esistenza. Ce n’è una piccola parte, tuttavia, che comprende le due fasi e, per passare dall’una all’altra, ci lascia nel mezzo tutta la sofferenza di cui è capace (e anche oltre), un dolore che passa e si auto-cura attraverso l’accettazione; è quella piccolissima e unica parte che non dovrebbe preoccuparsi (occuparsi prima) di come viene percepita, ma darsi il tempo di poter essere ciò che semplicemente è.
Ognuno vive il proprio estremo.
Ognuno sa cosa sarebbe potuto essere e non è stato.
E, se è stato, sa di cosa stia parlando.
“È stremato, al limite, forse disgustato dall’umiliazione di ritornare in Inghilterra senza successo…”.
Partito asceta, non tornato perché rimasto alla prima fase?
La seconda fase non è per tutti.
Un folle sull’Everest, la storia di Maurice Wilson - Montagna.TV
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Maurice Wilson, reduce della p